Madri come ammortizzatori sociali. L’inverno demografico nasce da qui

 


Una donna su cinque dice addio al lavoro dopo la nascita di un figlio. Per l’87% dei bambini fino a 3 anni le uniche a usare i congedi sono le mamme.




di Flavia Landolfi, Manuela Perrone 14 maggio 2023


L’inverno demografico è l’inverno delle madri: sempre di meno, sempre più sole, sempre più ai margini del mercato del lavoro, inchiodate al careviging gratuito. Penalizzate non solo rispetto agli uomini, ma anche alle donne senza figli. Con fratture che si allargano anno dopo anno.

Se davvero si vuole invertire la parabola discendente della natalità in Italia, è alla maternità che bisogna guardare. Senza ideologie, con pragmatismo e urgenza. I numeri sono sotto gli occhi di tutti, a volerli vedere. A partire da quelli demografici finiti nei giorni scorsi sotto i riflettori: le nascite del 2022 precipitate a 392mila, l’età media al primo figlio salita a 32,4 anni, il numero medio di figli per donna ridotto a 1,24 (contro 1,8 in Francia e 1,53 in Germania), i tassi di fecondità che aumentano oltre i 30 anni e continuano a crollare tra le più giovani, il rinvio protratto nel tempo della decisione di avere un figlio che si traduce troppo spesso in una rinuncia definitiva. Per due terzi secondo l’Istat il calo delle nascite si deve all’«effetto struttura»: le donne tra i 15 e i 49 anni sono un milione in meno rispetto al 2008.

Lavori di cura

Sono invece un milione in più rispetto a 20 anni fa, e hanno raggiunto quota 2,5 milioni, le famiglie monogenitoriali, con una netta predominanza delle madri (80,9%). Donne che corrono un rischio molto più alto di scivolare nella povertà e che si assumono da sole il maggior peso della cura dei figli. Ma questo accade anche alle madri che convivono con il partner. Perché è vero che sta migliorando la collaborazione nelle attività che riguardano i figli (come l’accompagnamento a scuola o agli sport, con un 57,4% di madri e un 55,3% di padri rilevato dal rapporto Inapp Plus 2022).
Ma le faccende domestiche restano appannaggio delle mamme: dichiara di occuparsene il 72,3% delle donne contro il 28,4% degli uomini. Stessa musica per i pasti: ai fornelli, come da stereotipo, prevalgono le madri con il 79,7% contro un più risicato 36,3% dei padri. Tutto lavoro non retribuito che assorbe tempo ed energie. E che spiega la minor partecipazione delle madri al mercato del lavoro, quello sì retribuito e socialmente riconosciuto, e alla vita pubblica.

Sul lavoro

Al noto divario tra i tassi di occupazione di donne e uomini, si aggiunge il gap tra donne con e senza figli. Il rapporto Bes evidenzia un tasso di occupazione pari al 55,5% tra le donne tra i 25 e i 49 anni con un figlio fino a sei anni, che sale al 76,6% per chi non ha figli. Secondo il Bilancio di genere 2022 del Mef il rapporto tra il tasso di occupazione delle lavoratrici madri con figli under 6 e quello delle lavoratrici senza figli è pari al 73%: significa che su 100 donne senza figli occupate, ci sono solo 73 madri che lavorano. Anche perché per una donna su cinque diventare mamma significa dire addio al mondo del lavoro, sempre più spesso in modo irreversibile.
È sempre l’Inapp a registrare che la quota di donne con almeno un figlio che non ha mai lavorato per prendersene cura è pari all’11,1%, rispetto a una media europea del 3,7 per cento. L’Ispettorato del lavoro nell’ultimo rapporto 2021 registra 37.662 cessazioni dal lavoro da parte di donne con figli (il 71,8% del totale) contro 14.774 da parte di padri (28,2%).

La natura di queste dimissioni racconta l’ennesima spaccatura nelle condizioni di lavoro: per le madri a pesare sono le difficoltà di conciliare professione e famiglia (che rappresentano il 65,5% sul totale delle motivazioni), mentre solo il 21,7% fa riferimento a casi di trasferimento ad altra azienda. Che è invece la motivazione più diffusa per le dimissioni tra i padri con il 78,2%. Ostacoli legati alla necessità di conciliare qui non se vedono: vi fa riferimento solo il 7,4% degli uomini con figli.
La disparità dei congedi
La cartina di tornasole arriva dai dati desolanti del rapporto annuale 2022 dell’Inps sui congedi. I bambini sotto i 3 anni tra il 2012 e il 2021 hanno potuto contare praticamente solo sulle madri: per l’87% dei bambini in questa fascia d’età l’unico genitore che ha utilizzato il congedo durante l’anno è stata la mamma, per il 10% il papà e per circa il 3% entrambi i genitori. Per non parlare dei casi in cui nella famiglia c’è un figlio con disabilità.

«Nel 2021 - spiega il rapporto - solamente il 23,28% degli uomini aveva usufruito di un prolungamento del congedo parentale per l’assistenza a un figlio con disabilità». Il che significa che sono sempre e ancora le madri a farsi carico dell’assistenza di questi bambini o ragazzi. E non soltanto di loro, come nota l’Inapp: nel sostegno a parenti o amici, anziani o malati, si rileva una netta prevalenza dell’impegno femminile, con il 30,9% delle donne che si occupa abitualmente di tale attività contro il 15,6% degli uomini. Il caregiving come destino (e ammortizzatore sociale misconosciuto).

Il part-time delle mamme

Non stupisce che il part-time resti il regno incontrastato delle donne: nel 7° rapporto di Save the Children “Le Equilibriste: la maternità in Italia 2022” si ricorda che è il contratto del 39,2% di chi ha due o più figli minorenni. Non sorprende neppure che le retribuzioni medie femminili siano del 20% inferiori a quelle degli uomini (oltre 7mila euro annui) per un impiego a tempo pieno e del 16% inferiori (più di 3mila euro) per un lavoro a tempo parziale.

C’è davvero da chiedersi perché, poste davanti al bivio tra licenziarsi ottenendo un sussidio di disoccupazione e continuare a lavorare, molte mamme scelgano la prima opzione? «In media - sottolinea l’Inps - le madri sono disposte a rinunciare a oltre 30mila euro in redditi nel lungo periodo per ottenere circa 5mila euro in più di prestazioni nel breve periodo». L’Istituto nazionale di previdenza certifica che «parte di queste scelte è derivata dall’eccessivo costo di tornare al lavoro dopo la maternità, dovuto alla mancanza di servizi per l’infanzia».
Un vuoto ben noto, al punto che il Pnrr destina 4,6 miliardi alla realizzazione di asili nido e scuole materne per 264.480 nuovi posti entro il 2026. Sempre che i ritardi fin qui accumulati non mettano a rischio il raggiungimento dell’obiettivo.
«Metter su famiglia si sta trasformando in uno sforzo titanico, anziché essere un valore condiviso che tutti riconoscono e sostengono», ha detto Papa Francesco agli Stati generali della natalità. Perché l’inverno non si trasformi in glaciazione, c’è solo una strada: ripartire dalle madri. Smettere di vessarle.

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